Project Description

Sull’autostrada che da Nicosia porta all’antica Morphou, il primo villaggio che spunta dal deserto è Yilmazköy. Giusto un incrocio con poche case attorno. Da un lato un’antica chiesa ortodossa abbandonata, coperta dai rampicanti, dall’altro una moschea nuova di zecca, così bianca da sembrare di plastica. Siamo a Cipro Nord, dove 41 anni di occupazione militare turca hanno trasformato questo pezzo di isola, cancellando tutte le tracce della cristianità. Di Yilmazköy, a Cipro Nord, ce ne sono centinaia. Ma nell’angolo nord occidentale dell’isola, c’è un paesino in cui tutto ancora ruota attorno al crocifisso, una minuscola enclave cattolica, davanti alla quale spunta il vecchio cartello con il nome greco: Kormakitis.

Quattro suore che non si arrendono

Da sinistra: suor Bernadette, suor Elsy, suor Pierpaola durante la visita di Caterina Cerboni.

Quattro suore francescane, missionarie del Sacro Cuore, in un piccolo convento maronita fondato nel 1936. A Cipro Nord, sono le uniche superstiti della cristianità. La più giovane ha 65 anni, le altre sono molto più anziane. Combattive, sorridenti, da 41 anni, dal giorno dell’occupazione turca, dopo aver superato una guerra civile e anni di coprifuoco che scattava alle sei in punto, continuano a lavorare per tenere aperte le loro chiese. E per tenere unita una piccola comunità. «Potevamo andarcene, partire. Ma non abbiamo mollato, per non lasciare sola la nostra gente», raccontano in perfetto italiano. Perché in Italia hanno studiato e una di loro, suor Bernardetta, è veneta, viene da Postioma, arrivata a Cipro 55 anni fa. «A Kormakitis nel ’74 c’erano duemila abitanti – spiegano – oggi siamo rimasti in duecento, ma da quando nel 2004 sono state riaperte le frontiere, nei fine settimana e d’estate tanti giovani tornano». Tutto ruota attorno alla chiesa di San Giorgio, con quelle messe poliglotte – liturgia in greco, consacrazione in aramaico, canzoni in arabo – officiate ogni giorno da padre Selim. «Tanti anziani non ce la fanno a venire in chiesa? – dice il sacerdote – E noi mandiamo le messe in streaming in modo che tutti possano seguirle».

L’impegno per una comunità

Le suore fanno di tutto per stringersi attorno ai pochi rimasti in paese. Suor Piera, suor Pier Paola, originarie di Kormakitis, suor Elsy, indiana, e suor Bernardetta per anni hanno fatto da maestre alla scuola materna e alla elementare. «E ora che non ci sono più giovani, insegniamo alla scuola della terza età, ricamo, uncinetto», ridono, mentre servono liquore di nespole e prugne ripiene, preparati da suor Pier Paola. Ogni mattina, dopo aver curato l’orto, fanno il giro dei malati, perché sanno fare anche le infermiere: misurano la pressione, fanno una puntura. L’età per loro non è un alibi. Immaginarsi la faccia di due poliziotti turchi, mentre in piena notte vedono un’auto correre verso di loro, sfanalando a tutta velocità, per poi scoprire che a bordo ci sono tre pacifiche religiose, in cerca di un certificato medico per raggiungere l’ospedale oltre confine, di là dalla green line: «Abbiamo una signora malata con noi, dov’è il dottore?», tuona brusca suor Piera, la decana, che con i suoi 86 anni parla anche un perfetto turco. «Qui a Kormakitis, finché ci siamo noi, tutti si sentono sicuri», raccontano. «Sono arrivata dall’Italia nel ’60, perché qui avevano bisogno di suore – spiega suor Bernardetta – Ora se ci mandassero delle giovani missionarie sarebbero le benvenute: noi non siamo più delle giovincelle». Si ferma un attimo, poi riprende: «Ma ce la facciamo lo stesso: siamo giovani di spirito».

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